Una domenica d’estate. Bella, le spiagge piene, un sole finalmente amico. È stato ancora più triste pensare il 14 settembre che si rischia di sopportare un Napoli così per nove mesi. I fischi hanno investito De Laurentiis, ma attaccare solo lui significa liberare livori e antipatie. Credo che questa sconfitta, con il Chievo schiacciato dalla Juventus la scorsa settimana, rifletta gli errori e i bluff di una intera estate. Si può fare qualcosa? Ho un’’dea, la leggerete in fondo. Questa ricostruzione troverete in una parte dell’articolo scritto subito dopo la partita per Repubblica.
L’ULTIMA campagna è stata un capolavoro tra mistero e farsa. Non solo Mascherano, non solo Kramer, non solo Gonalons, ma qualcuno può spiegare ai napoletani la trattativa con Fellaini, incontrato in un posto meno riservato solo di piazza del Plebiscito? Un aeroporto. Fellaini, poi. Inconfondibile per quel suo testone da musicista blues. Incontrarsi e dirsi addio, ovvio. Perché Fellaini va al Manchester United e subito spunta un altro in quei giorni: Khedira, ma chi? Sami o Rani? Mediani nati a Stoccarda, fratelli, ma uno al Real Madrid, uno al Leipzig, il primo da 35 milioni l’altro da 900 mila euro. Chi e perché rincorreva nomi, decine di nomi, se De Laurentiis aveva deciso di non spendere e Benitez di mollare?
C’è tutto questo oltre lo sdegno dei tifosi. Ce l’hanno con De Laurentiis. Indifendibile, certo. Il suo Napoli promette di lottare per lo scudetto, rincorre aquiloni con il candore di un bambino, poi sotto sotto tratta affarucci e prestiti. E Benitez? Non può sottrarsi a una cruda analisi. Antonio Conte, appena teme di non vincere la Champions, straccia il contratto. A stagione iniziata. Benitez invece sposta il tiro: forze oscure contro il Napoli. Dove, chi, quando? «Dobbiamo essere tutti uniti», teorizza. Viene il dubbio che non sia mai stato in Inghilterra, che non conosca i columnist inglesi, magari Jeff Powell o Brian Ganville, mettevano in croce anche Ferguson. Ma che viene a raccontare il professore? Ho condiviviso, ovvio, la nota di Sergio Troise sulla provincialissima arringa di Benitez. Sergio ha girato il mondo come me, in aereo o meglio in auto, a duecento orari, ancora oggi non so chi sapesse guidare meglio, siamo stati leali e insperabili per anni. Messico, Argentina, Canada, Europa, ritiri, scudetti, mondiali, sempre in giro con schiena dritta e dignità. Sapevano di non poter sbagliare. Abbiamo portato in giro lo stile della grande scuola giornalistica di Napoli senza mai raccontare favole e mezze verità. Ecco perché devo citarne altri, veri maestri. Giuseppe Pacileo, Romolo Acampora, Franco Esposito, Sergio per il Mattino, non dimentico certo Ciccio Degni, Mimmo Carratelli, Maurizio Romano, Carlo Dell’Orefice, senza disturbare nel sonno dei grandi quelli che mi hanno insegnato tanto. Gino Palumbo, Antonio Ghirelli, Giorgio Tosatti, Riccardo Cassero, Lello Barbuto, Gianno Infusino: immaginate un po’ questi signori davanti a Benitez che espone la sua tesi. Più o meno, questa. Per vincere, bisogna scrivere quello che fa bene al Napoli. Una domanda: ma il Napoli fa bene a se stesso?.
Benitez ne tira sempre una fuori. Prima della Champions, predica che «non sarebbe una tragedia l’eliminazione». Non lo è stata, ma una disfatta sì. Un brutale colpo economico e d’immagine. Ripete che la squadra gli sta bene e non ha nulla da rimproverare al presidente, ma quanto è buono, il professor Benitez. Prima del Chievo, schiacciato a Verona dalla Juve una settimana fa, ordina che siano «tutti uniti, è così che si vince». Appello raccolto. Non vi è tifoso che ieri non abbia fischiato o giornalista che oggi esalti il Napoli. Il suo Napoli.
Hanno sbagliato insieme. De Laurentiis e Benitez si tengono l’un l’altro, in un patto senza parole. Ma è il presidente nel mirino. Vi si è cacciato con tutto il fragore della sua inesperienza e presunzione. Promette, non compra, svende. Benitez intanto si arrende ai primi no. È bocciato Mascherano braccato per mesi, qualche altro nome di lusso per edificare il grande club, svaniscono squadra di rango, strutture, stadio, settore giovanile. Trova chiusa la bottega del suo amico Manuel Garcia Quillon, dopo i buoni affari dell’estate scorsa, da Reina a Higuain, a Callejon, ad Albiol. Il Napoli cerca infatti solo prestiti, senza avere operatori e relazioni di mercato. E Benitez che fa? Tace. Ma considera finita la sua seconda missione italiana. Non rinnova.
Pesa l’ultimo errore: condizionare gli acquisti all’ingresso in Champions. Bisognava investire per riuscirvi, in caso negativo il Napoli avrebbe avuto comunque una squadra pronta per la serie A. Questa strategia, condivisa o subita da Benitez, ha avuto un solo effetto: non sono i tifosi, ma i giocatori i primi a non credere nel Napoli. La depressione degli spagnoli è plateale. Flessione, facce, sviste di Higuain, Callejon, Albiol parlano. Sanno che la squadra si è indebolita. Rafael per valori attuali e carisma non è Reina, l’assonnato Koulibaly dimostrerà di valere Fernandez chissà, Behrami era più prezioso di Jorginho e Inler insieme. Il Napoli cercava almeno un mediano di qualità. Uno. Giocano i due dell’anno scorso, in panchina tre dei 4 acquisti: De Guzman, Michu, David Lopez oltre ad Andujar portiere. Offerti e non venduti Mesto, Britos, Gargano, Zapata. Qualche altro fu regalato per ridurre il monte ingaggi.
Un Napoli così demotivato, privo di schemi, con le ruote sgonfie è inaccettabile. Andrà meglio giovedì con lo Spartak Praga perché le campane d’Europa svegliano gli indifferenti. Eccitano come serpenti a sonagli quelli che fiutano in eurovisione migliori ingaggi. E poi? Nove mesi sono lunghi. De Laurentiis e Benitez escano dal non credibile fair play. Si dicano tutto. C’è un futuro che li lega ancora? È la risposta che aspettano i giocatori per reagire, i tifosi per credere. La crisi potrebbe essere scoppiata e finita. Non c’è più spazio per furbizie, arroganza, finzione. Eccoli, devono decidere in due. L’Italia del calcio e un po’ di Europa li stanno guardando.
Antonio Corbo per Repubblica.it