Solidità aziendale privilegiata alle esigenze di mercato: il Napoli è tra i club con più liquidità in Italia
Il Napoli di De Laurentiis, uscito a sorpresa dai preliminari di Champions (nella doppia sfida con i baschi dell’Athletic Bilbao), si muove sul rettangolo di gioco, così come sul mercato, perfettamente in linea con le regole Uefa del Fair play finanziario, diventato operativo proprio in questa stagione.
Il “tesoretto” di oltre 30 milioni di euro, perso dal Napoli per la mancata presenza nella prossima edizione della Champions league, non può essere considerato come un ricavo da reinvestire, in misura integrale, nelle fasi finali del calciomercato estivo. Aurelio De Laurentiis ha ottimizzato, in questi ultimi anni, le entrate collegate al market pool dell’Uefa, puntando ad abbattere soprattutto il peso dei salari dei propri tesserati. Un fattore, quest’ultimo, che spesso viene sottovalutato da parte degli stessi tifosi, che guardano al saldo tra entrate e uscite del calciomercato, dimenticando il ruolo “centrale” del costo del personale sul risultato finale di una società di calcio. Il patron campano, dal suo ritorno in serie A, ha puntato quindi sul bilanciamento costi-ricavi e anche gli ingaggi di Higuain e Callejon, sono la conseguenza logica della cessione al PSG (nella scorsa stagione) della stella Cavani.
Pur non considerando la redistribuzione dei ricavi da diritti tv della Champions, la posizione finanziaria netta del Napoli è stata (analizzando i dati dell’ultimo bilancio pubblicato) di 23,3 milioni di euro, grazie a disponibilità liquide che hanno superato il tetto dei 27,2 milioni. Da questa cifra bisogna eliminare soltanto un finanziamento soci di 3,9 milioni di euro, che, di fatto, è stato l’unico debito del club, a conferma della positiva gestione finanziaria.
Il Napoli si presenta, pertanto, tra i club più “liquidi” della massima serie italiana, ma questo punto di forza non sempre è stato sfruttato sul mercato, proprio perché il bilanciamento delle diverse voci (costi/ricavi) è la caratterizzazione primaria del management napoletano. La solidità aziendale è stata privilegiata rispetto alle esigenze di mercato, anche se questa politica non sempre ha incontrato i favori della tifoseria campana (non è un caso che in questa nuova stagione sia diminuito drasticamente il numero degli abbonati).
In attesa di valutare i conti del Napoli post cessione Cavani al Paris Saint Germain, il punto di riferimento è il fatturato netto del Napoli pari a 116,4 milioni di euro, relativo al bilancio 2012/13 (con una previsione di utile stimato in 8 miloni di euro).
I ricavi commerciali e le altre attività correlate hanno generato 35,9 milioni di euro, gli introiti legati al botteghino sono stati di poco superiore ai 15 milioni e i ricavi televisivi (campionati e manifestazioni internazionali) hanno raggiunto il tetto dei 65,4 milioni di euro. Soprattutto quest’ultima voce, così come avviene nella stragrande maggioranza dei top club italiani, è servita all’abbattimento dei costi del personale, pari a 66,9 milioni di euro. Senza considerare altri costi operativi che ammontano, su base stagionale, a 35,6 milioni di euro.
La sconfitta subita al San Mamès di Bilbao conferma, però, la tesi della necessità di una più costante permanenza in Champions (il modello di riferimento è l’Arsenal, presente per la 17ima volta consecutiva) e il potenziamento di infrastrutture sportive come lo stadio (anello debole, ad eccezione della Juventus, di tutti i club di serie A). Elementi che consentirebbero di generare ricavi utili da investire per l’acquisizione di calciatori di prestigio, sganciando, di fatto, il club dalla spada di damocle del risultato sportivo.
Uno stadio nuovo infatti può generare un 30 per cento di nuovi ricavi commerciali su base stagionale. Il San Paolo, oltre a presentarsi come un impianto obsoleto, non permette l’ulteriore crescita dell’attivo societario e l’intermediazione dei pezzi più pregiati diventa lo strumento primario per produrre ricavi e garantire un assetto stabile ai conti del club.
Corriere dello Sport