Xavi Valero: “Napoli, un mondo fantastico. La cultura napoletana mi piace”
Si ispira a Kant, adora e canta Eugenio Bennato, ha due lauree (in filologia e pedagogia), conosce correttamente almeno 4 lingue. Xavi Valero è molto più di un semplice allenatore dei portieri. Seguace di Rafa Benitez (41), studia e s’appassiona a gran parte dello scibile umano. Perlustrando la mente, esplorando e scoprendone i lati più curiosi e fertili da coltivare.
Buongiorno Xavi, ma come ha conosciuto Rafa Benitez?
«Ci incrociavamo nella Liga quando lui già allenava e io paravo ancora…»
A 41 anni un buon portiere è ancora in attività…
«Io, in realtà, ho smesso molto prima. Non avevo ancora 34 anni quando Rafa mi ha convinto a seguirlo a Liverpool».
Ma come ha fatto?
«Io stavo già perlustrando il mio futuro. Mi è sempre piaciuto studiare, ma avrei volto restare nel mondo del calcio. Benitez mi ha dato questa possibilità».
Anche quella di continuare a studiare…
«Certo, nella vita di un calciatore e di un allenatore esistono molti momenti di pausa. Io voluto metterli a frutto con lo studio, applicando quello che ho imparato sui libri nel mondo del calcio».
Ma con due lauree si può ambire anche a qualcosa di meglio che essere l’allenatore dei portieri.
«Forse, ma a me il calcio, questo mondo e i suoi margini di crescita sono sempre piaciuti. Ho voluto continuare a vivere e lavorare nell’ambiente che conosco meglio».
Perché, allora, non tentare la carriera dell’allenatore, della prima guida di una squadra?
«Rafa è un uomo eccezionale, ti fa lavorare, ha voglia di scoprire anche lui cose nuove. Gli piace valicare confini e territori già conosciuti. Mi piace molto lavorare con lui, mi trovo benissimo».
Quindi il pallone non merita solo di essere preso a calci.
«No, affatto. Il ruolo del portiere è molto delicato. Sei sempre solo, quando sbagli il tuo errore è irreparabile. Per questo motivo la tua mente deve essere allenata, istruita, adattata a situazioni estreme, spesso senza via d’uscita».
Che rapporto ha l’allenatore dei portieri con i suoi colleghi che deve istruire e migliorare?
«Sicuramente si tratta di un rapporto bi-direzionale. Loro imparano da me, ma anch’io imparo da loro… Ne ho conosciuti tanti, di molte nazionalità. Il confronto fra di noi è continuo, anche fuori dal campo».
Quale è la principale difficoltà che un numero 1 deve affrontare nel suo lavoro?
«Ha sempre la necessità di individuare la soluzione esatta, di fare la scelta più opportuna nel momento giusto. Io devo trasmettere loro non solo gli strumenti per ottenere questo risultato, ma anche la sicurezza per poterlo fare».
Benitez come si confronta con i suoi collaboratori di fronte a esperimenti e novità?
«Io sono felice del mio lavoro perché Rafa dà molto spazio ai suoi collaboratori all’interno dello staff. Il confronto che ho con lui riguarda anche le palle inattive, la fase difensiva. Insieme cerchiamo di coinvolgere il più possibile il portiere nel gioco di tutta la squadra».
Il portiere, quindi, viene allenato e trattato come un calciatore di movimento?
«Esatto. Il pericolo di restare troppo tempo inoperoso, magari sotto la pioggia o al freddo, può essere debellato solo mantenendo alta la soglia dell’attenzione. Se sei sempre concentrato perché sei più coinvolto nel gioco e nella partita, eviti anche di pensare ad altre cose. Quindi non ti distrai».
Come si supera l’annoso problema delle gerarchie dei portieri?
«Ci sono almeno due partite alla settimana. Bisogna far capire loro che tutti sono uguali. Nessuno deve mai sentirsi escluso».
Chi è, secondo Xavi, il prototipo del portiere ideale?
«Van Der Saar. Mi ha impressionato di lui come, già superati i 30 anni, sia riuscito a imporsi nuovamente ad altissimo livello vincendo con il Manchester United».
Un portiere giovane è meno affidabile rispetto a un portiere maturo e, quindi, più esperto?
«No. È importante, piuttosto, saper leggere il gioco e decidere prima. Così come l’esplosività e l’agilità della gioventù sono importanti, diventa poi fondamentale imparare a usare più la testa che le gambe. Non bisogna per forza avere caratteristiche fisiche straordinarie per essere un buon portiere».
Dopo un anno trascorso a Napoli, Xavi cosa pensa di questa nuova esperienza?
«Abito in centro città, con mia moglie e le mie figlie mi piace passeggiare molto per la città. Io e mia moglie ci siamo fatti un’agenda di tutto quello che abbiamo visto e ancora dobbiamo visitare».
Vedi Napoli e poi…
«…Vivi, non ho dubbi. In un modo fantastico, c’è una continua esplosione di vita. Per questo mi piace molto Napoli e per questo ti dà tanto. Ogni angolo della città è un pezzo di cultura».
Un esempio di napoletanità secondo Xavi Valero.
«Eugenio Bennato e la sua “taranta power”, una grande innovazione musicale che avevo scoperto in un film di Nanni Moretti. La cultura napoletana mi piace».
Qual è la città d’Europa che Xavi assimilerebbe a Napoli?
«Liverpool a livello sociale, soprattutto per la passione calcistica unica. Queste due città hanno tante cose in comune».
Ma come si allena un…allenatore dei portieri per dare il meglio di sé?
«Giocando a scacchi. Io trovo molte analogie fra gli scacchi e il calcio. L’obiettivo quando muovi le pedine è andare ad attaccare la più importante, il re, quella che ti fa vincere la partita. Nel calcio devi prendere il portiere, devi batterlo perché solo così puoi ottenere la vittoria».
Il portiere come si può difendere?
«Leggendo in anticipo l’azione. Il portiere, con il suo intuito, se riesce a interpretare nella maniera corretta il gioco d’attacco è capace di prendere le giuste contromisure».
Fonte: Corriere dello Sport