Pfaff: “Messi? Maradona è un’ altra cosa”
Appesa a una parete della sua casa di Anversa, incorniciata, spicca ancora la maglietta che quel giorno Maradona gli regalò alla fine della partita. Che partita. La più importante della storia del calcio belga, una delle più importanti della storia del calcio argentino. Belgio-Argentina. Semifinale mondiale. Stadio Azteca. Città di Messico. 25 giugno 1986. Jean Marie Pfaff era il portiere di quel Belgio dei miracoli. A quei livelli non era mai arrivato prima e non sarebbe mai più arrivato dopo. Chissà cosa succederà oggi. Nei quarti, allora, avevano eliminato la Spagna. Ai rigori. Proprio Pfaff fu il grande protagonista. Con un trucchetto. Appena il rigorista avversario stava per partire, lui alzava il braccio e poi si chinava a sistemarsi il calzettone. Quelli si innervosivano e sbagliavano. Pfaff usò quel piccolo sotterfugio varie volte anche nella semifinale con l’Argentina. Per perdere tempo. Rimasero 0-0 per 50 minuti. Poi gli apparve Maradona. Un uno-due micidiale. Prima una magia di esterno di esterno sinistro, poi un tocco di precisione dopo essersi smaterializzato per passare in mezzo a tre avversari.
«Nel 1986 – ricorda Pfaff – Maradona era veramente un giocatore di un altro pianeta, anzi stava all’apogeo. Improvvisamente lo vedevi dove non te lo aspettavi. Immarcabile. Quattro anni prima in Spagna no. Lì l’avevamo anche battuto nel primo turno. In Messico invece… Mai visto né prima né dopo uno così».
Ma Messi? «Con tutto il rispetto, e vi assicuro che lo rispetto molto, ancora non c’è paragone. E forse non ci sarà mai». È ottimista Pfaff. «Anche il resto dell’Argentina di oggi mi sembra inferiore a quella del 1986. Sì, c’è Di Maria che mi piace molto. Ci sarebbe Aguero, che però non sta bene. Ma gli altri? Io mi ricordo i Valdano, gli Enrique, i Burruchaga, i Batista. Giocavano da squadra, questi mi sembrano solo un gruppo che aspetta l’exploit di Messi».
Ma c’è un’altra ragione che spinge Pfaff a credere nella grande impresa: «La maggior parte dei miei compagni di allora giocava in Belgio, quasi nessuno aveva esperienza internazionale. Ora invece stanno quasi tutti all’estero, nei campionati più importanti, nelle squadre più forti. Hanno più fiducia, non provano nessun complesso di inferiorità. Poi, il modo di stare in campo. Wilmots ha dato alla squadra una fisionomia precisa, un’idea di gioco che prescinde dagli stessi giocatori, che pure sono bravi, abbiamo delle stelle anche noi adesso. Hazard e non solo». Il gioco che, secondo Pfaff, manca all’Argentina. «Ma anche al Brasile. Un’altra squadra che aspetta soltanto le prodezze di un solo giocatore, Neymar. Per questo non credo alla finale Brasile-Argentina, di cui già tutti parlano». Oltre che un pronostico, però, sembra un atto di fede.
fonte – il Mattino