Luglio 1984: trent’anni con Diego, il campione che fa vincere Napoli
Maradona ha trent’anni. Hanno un’età anche i sogni. Quello di Napoli comincia in una notte d’estate, diversa da queste, luglio 1984. Più calda di queste, l’afa che ti smonta, la pista neanche si vede, i fari dell’aeroporto El Prat bucano nuvole di vapore, «la noche màs caliente del siglo», la più calda del secolo, esagerano i cronisti di Barcellona corsi a raccontare con aspro orgoglio l’addio di Diego. Nessuno perdona chi fugge dal suo amore.
Aveva deciso Maradona di andar via. «Yo quiero irme». Voglio andar via di qua. L’ha detto per 40 giorni e 40 notti, quando tirava l’alba intorno alla piscina della villa nel barrio regale di Pedralbes, residenza estiva del re di Spagna. Non lo ripete ora che se ne va, primo luglio 1984, ore 1.35, si è chiuso a mezzanotte il calcio mercato. Il 5 luglio ’84, il primo incontro con i napoletani, in uno stadio pieno di sessantamila innamorati. Quattro giorni prima, solo a tempo scaduto c’è la firma che trasferisce dal Barcellona al Napoli Diego Armando Maradona, il campione del momento, il ragazzo con una faccia da indio e negli occhi un lampo di carbone che si affermerà come il più forte, scomodo, libero calciatore di tutti i tempi. Un ribelle di buoni sentimenti che si legherà a Napoli per sempre. Diego, sai che dai trent’anni in giù si chiamano Diego anche quattro napoletani su dieci? L’aeroporto deserto fa scena. Il posto giusto per un addio senza nostalgia né ritorno. Ma perché “El Prat”? Il contratto, controvalore di 13,5 miliardi di lire in dollari, è perfezionato qui. Il Banco de Bilbao aveva già ricevuto “los avalos”, le fideiussioni spedite dal Banco di Napoli sulla parola di Corrado Ferlaino e del “Sindaco dei cento giorni», Enzo Scotti. Mancava la firma del presidente, arrivato alle 24 da Milano con lo stilista Enrico Isaia. Si è arreso Juan Gaspart, vicepresidente, sgarbato e inflessibile ma coerente. Aveva respinto per 40 giorni gli assalti del Napoli. Ferlaino aveva minacciato di far valere come contratto in sede Uefa un fax del tesoriere Carlos Tusquets. Ma sabato 30 giugno alle 9 Gaspart fa bloccare dal direttore del Princesa Sofia, in avenida Carlos III, due passi dal Nou Camp, Antonio Juliano e Dino Celentano. Sono in partenza per Valladolid: nella stessa sera avrebbero dovuto comprare Hugo Sanchez o Santillana, rivali nella finale della Coppa di Lega. Si fermano, si riapre la trattativa nel segreto una villa di campagna, 50 km di carretera, presente l’agente Josep Maria Minguella, personaggio rispettato, mezza faccia occupata dai baffi, una compagna domenicana bella come una star. Alle 20.50, dopo 11 ore serrate di scontro, l’accordo. Virgilia e Maristel, le centraliniste del Princesa, nel gabbiotto pieno di fiori e di giornalisti in ansia, afferrano la linea molto disturbata al terzo squillo. Juliano chiede di parlare con uno di noi. «Non potevo chiamarvi prima. Maradona è nostro». Nostro, ma che dice Juliano? Juliano riattacca, bisogna fidarsi, volano i pezzi per la prima edizione. Il contratto è rimandato all’aeroporto, dove arriverà Ferlaino. Non c’è ufficio migliore che la cassa del ristorante “Husa”, la catena di Gaspart. La firma ritarda perché si litiga sulle commissioni agli agenti, oltre a Minguella, c’è Ricardo Fujica di Valencia, regista occulto dell’affare. È l’1.35 quando il plico è pronto, lo porta a mano Ferlaino in aereo privato, alle 5 del mattino nella sede milanese della Lega sostituisce un plico-civetta lasciato prima delle 20. Con carta bianca. Frase in codice: «È l’uovo del gallo». Il vigilante coinvolto nel trucco dal collega del turno precedente cambia le buste e sette anni di calcio italiano. Cosa volete che sia una buona mancia, per chi ha appena investito 13,5 miliardi di lire? Il fatturato del Napoli schizzerà da 9 a 34. Franco Esposito ha raccolto questa ed altre storie pazzesche nel suo “Testa alta, due piedi”, un libro di fantasia eccitante, un altro calcio, più gentile e vero. Senza procuratori, faccendieri, mitomani e telefonini. Sette anni che cominciano nella “noche mas caliente del siglo”. proseguono con 115 gol di Diego, due scudetti, Coppa Uefa e Supercoppa, sette anni che non sono mai finiti. Il tempo per tenerli sempre lucidi rimuove ogni velo di polvere, anche la più odiosa, quella cocaina che Diego aveva incontrato a Barcellona: quando lo riforniva Forcella ne era già ostaggio. Fatale anche la targa in oro barocco al 105 di via Petrarca. “Maradona Production”. Jorge Cyterszpiler gestiva i diritti di immagine. Contratto bocciato dal Fisco. Altri hanno vinto il ricorso. Diego no. In uno slancio di complicità non richiesta, fu respinta la notifica. «Sconosciuto». E svanirono i termini del ricorso. Il suo debito di «evasore innocente» è impazzito. Sale di 2,03 euro al minuto, 127 in un’ora, 3.068 ogni mattina. Implacabile l’orologio del fisco. Diego, 54 anni, 30 da sogno con Napoli, non sa fermarlo. Non lavorerà qui. Come nei film, i grandi amori fanno soffrire.
La Repubblica