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“Modello inglese” ora o mai più. 10 mila poliziotti sprecati se non cambiano gli stadi

Ora che è volato via, Ciro finalmente saprà che cosa è successo in quella sozza serata del 3 maggio a Tor di Quinto, quanti erano intorno alla pistola del suo assassino, perché nessuno aveva previsto l’agguato. Forse è troppo tardi per rimuovere tutta la nebbia che ha velato le indagini e la verità su una prevenzione infelice. Ma sono questi i giorni, ora o mai più, per liberare il calcio dai violenti che lo sporcano di sangue. È possibile. Il calcio non è stato mai così debole.

Pietà per Ciro vuol dire rispetto. Se la sua lunga agonia, è un valore. Se 54 giorni di sofferenze per nulla, vissuti nel respiro nelle macchine, tra terapia intensiva e sala operatoria, valgono un attimo di riflessione, un limite all’ipocrisia, alla retorica, alle complicità. Se non c’è più spazio per promesse spergiure. È questa la prima opportunità per lanciare un fiore a Ciro e l’ultima per salvare il calcio. La sconfitta della Nazionale crea il clima. Va ben oltre polemiche e lacrimucce, È crollato un sistema fatiscente: un mattone reggeva l’altro. Ha debiti e paura. Abete lascia macerie, è tutto da ricostruire. Ma come? La sicurezza e la regolarità contano più delle poltrone? Nei nuovi poteri sarà prevista la lotta alla violenza? Tocca a governo, magistratura, polizia, Figc e Lega, molto ai club. L’Inghilterra vi riuscì. Ma si impegnò a fondo Margaret Thatcher, dopo i disastri di Heysel e Hillsborough. Disposizioni dirompenti. Una banalità è l’oscuro male del calcio italiano. Cambiare le leggi, vero? La solita bugia di chi non cambierà nulla. Le norme qui ci sono, vanno applicate. Da tutti. Presidenti compresi. L’Inghilterra investì 350 milioni di sterline per renderli più sicuri, infilando anche la sede del “Crime Intelligence Football”. Arresto e processo sotto le tribune. Il ministro dell’Interno Alfano annunciò un decreto urgente, prese 15 giorni. Renzi, presente in tribuna d’onore quella sera, di più: un mese. «Lasciamo passare le elezioni». Sono passati il 40,8 per cento di voti e 52 giorni. Dovrà il governo vigilare sul rinnovo delle cariche federali: i programmi contano più dei nomi, sarà così? Si dovrà quindi risanare l’antistorica giustizia sportiva collegandola con quella ordinaria. Le criticità sono note, bisogna solo intervenire.
1) Stadi. Alle spalle di “Genny ‘a Carogna” non si distinguevano le scale tra le file di posti. C’era più gente del consentito. Assegnare anche in curva i posti numerati, far entrare solo chi ha il biglietto, magari senza spranghe e bombe carta, è già qualcosa. Si può fare?
2) Le sanzioni. Punire le società per i cori razzisti, per petardi ed altro, è un invito a delinquere. Aumenta il potere di ricatto sui club, la loro soggezione alla dittatura delle curve. La sanzione può essere diversa: divieto di trasferte. Il sistema Thatcher, ricorderete.
3) Il Daspo. Non è vero che non  funziona. È confuso. Quello “semplice” è emesso dal questore. Non conta, perché senza obblighi. Diverso il Daspo che richiede la firma negli uffici di polizia durante la partita. Ma va chiesto dal pm al gip, che sancisce le prescrizioni. A Napoli si contano un centinaio di casi, in altri città zero o quasi. Napoli è un’eccezione. La Procura è bene attrezzata. Il pm Antonello Ardituro, che passa dall’alta criminalità dei casalesi all’emergenza stadio, non esitò a rilevare «mancanza di prevenzione» all’Olimpico.
4) Steward. Il Viminale sparge ogni settimana per il calcio oltre 10 mila unità. Pagati dai contribuenti. Possono funzionare meglio gli steward se ben selezionati e pagati, e in impianti con posti assegnati.
5) Codice etico. Quanti altri pentiti devono rivelare che certi incidenti o rapine derivano da sgarbi di calciatori che rifiutano inviti e contatti? A Napoli si sa, altrove accade e non si sa. Nel codice etico, tra gli obblighi può esservi quello di informare la società. Da Maradona a Lavezzi a Gianello e ad altri hanno incrociato nelle notti di Napoli solo educande e donatori di sangue?

La Repubblica

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