Addio Ciro: Napoli piange l’eroe che voleva salvare i passeggeri del pullmann dalla follia degli altri
Ciro ha smesso di soffrire in un’alba grigia, afosa, quando ormai era diventato impossibile sperare in un miracolo, dopo essersi addormentato in pace con la sua anima. Non sono bastati dieci interventi chirurgici a salvare il suo corpo distrutto da una mano assassina. Per la famiglia Esposito, che piange con dignità il proprio ragazzo, è la fine di un’agonia durata 53 giorni, tra momenti di angoscia e altri di speranza, tra voglia di giustizia e dolore inconsolabile. Ma non è sufficiente a spiegare i motivi di una morte così ingiusta, assurda, insensata, a margine di una partita di calcio eppure così lontana dalla violenza del calcio.
ADDIO. Ciro è morto a 29 anni a duecento chilometri dal suo autolavaggio, quello di Scampia, dove ieri mattina è comparso un drappo nero in segno di lutto. La morte è arrivata «per insufficienza multiorganica non rispondente alle terapie mediche e di supporto alle funzioni vitali» come recita l’ultimo bollettino medico del Policlinico Gemelli, in cui i medici hanno provato a evitare il peggio dal 3 maggio, giorno di Napoli-Fiorentina. In pratica, le infezioni provocate dal proiettile avevano danneggiato irreparabilmente molti organi, tra cui polmoni, intestino e reni. Accanto a Ciro sono rimasti fino all’ultimo tutti gli affetti più cari: il padre Giovanni, la madre Antonella ( «Ora la mia vita non sarà più la stessa: forse è un disegno divino» ), il fratello più piccolo, Michele. Ma anche zii, amici, oltre all’adorata fidanzata Simona, già stata colpita duramente nei mesi scorsi dal destino che le aveva strappato tutti e due i genitori. «Dovevamo sposarci – ha raccontato la ragazza –sognavamo una vita tranquilla, dei figli. E i viaggi. Ciro adorava viaggiare» .
«UN EROE». La famiglia sapeva già da due giorni di dover riportare a casa Ciro «in un cappotto di legno» come aveva sottolineato con un’espressione volutamente macabra padre Mariano, il prete che aveva dato l’estrema unzione con rito evangelico. E ieri ha voluto ringraziare «il personale medico e paramedico» per l’assistenza, annunciando la perdita di un «eroe civile» che non aveva alcuna colpa se non quella di essere intervenuto «per salvare i passeggeri del pullman delle famiglie dei tifosi del Napoli calcio. Il nostro Ciro ha sentito le urla di paura dei bambini che insieme alle loro famiglie volevano vedere una partita di calcio; è morto per salvare gli altri» . Questo orgoglio, agli Esposito, non lo porterà mai via nessuno. Il comunicato continua così: «Daniele De Santis non era solo. Vogliamo che vengano individuati e consegnati alla giustizia i suoi complici. Vogliamo che chi, nella gestione dell’ordine pubblico, ha sbagliato paghi. Innanzitutto il prefetto di Roma che non ha tutelato l’incolumità dei tifosi napoletani. Chiediamo al presidente del Consiglio di accertare le eventualità responsabilità politiche di quanto accaduto» .
RABBIA. Non c’è alcuna richiesta di risarcimento. Sarebbe inverosimile: «Nessuno può restituirci Ciro ma in nome suo chiediamo giustizia, non vendetta» . E lo zio Vincenzo, il portavoce mediatico degli Esposito, ha ripetuto l’appello alla calma rivolto ai tifosi del Napoli: «Non usate il nostro nome per aggiungere violenza a violenza. Quello che è successo basta e avanza. Serve rispetto per la memoria di Ciro» . Il risentimento della famiglia viaggia su due binari: uno porta verso l’assassino di Ciro, l’altro verso la politica che a parte qualche eccezione (il sindaco De Magistris) non ha fatto sentire il proprio sostegno: «Oggi non è gradita la presenza delle istituzioni, che si sono nascoste in questi 50 giorni di dolore» .
Fonte: Corriere dello Sport