di Massimo Corcione
Siamo all’anno zero della Nazionale. Torniamo a casa tutti, molti per restarci. Come nessuno avrebbe mai pronosticato alla vigilia di questo mondiale. E in un Paese dove non si dimette mai nessuno, già questa è una novità. Onore ai dimissionari, allora. Prandelli si è assunto la responsabilità totale del fallimento – come Buffon lo ha definito senza nessun eufemismo – ma ha parlato anche di critiche ingiuste che hanno accompagnato la vicenda della sua conferma. Ha difeso la sua integrità di cittadino e di contribuente, ma la sua missione era quella di portare il più avanti possibile questa nazionale e invece si è fermato alla prima stazione di posta. Abete ha parlato di scelta di vita, di fine di un ciclo, e la eliminazione da un mondiale è naturalmente la fine di un ciclo. Una ricostruzione stavolta non è possibile senza passare per una rifondazione.
Che cosa sarebbe accaduto se questa nazionale, con un cartellino rosso e un morso incivile in meno, fosse passata almeno agli ottavi? Staremmo tutti qui a parlare di orgoglio italiano, di naturale vocazione a uscire dalle situazioni difficili. Forse avremmo mentito a noi stessi, avremmo finto che tutto va bene, avremmo prolungato artificialmente una vita giunta a epilogo naturale.
Non è questione (solo) di uomini. E’ una mentalità che va aggiornata, che va allineata alla velocità del Paese impegnato in una affannosa rincorsa della normalità. Lo sport non può che adeguarsi. Cominciando da quello più popolare. C’è un calcio da riformare, non solo la Nazionale. Il campo questo offre, Prandelli forse si sarà incaponito su sue scelte personali, finendo poi per subire il condizionamento popolare (e anche quello interno della squadra) al momento delle decisioni finali. Ma solo due anni fa ci fece sognare, portandoci alla finale europea contro la Spagna dei mostri sacri. 24 mesi dopo siamo fuori noi e pure gli spagnoli. Ripartire si può, senza drammi. Magari anche dicendo grazie a chi ha avuto la forza di dire basta.
Fonte: Sky