Toldo: “Viola, occhio alla coppia Pandev – Mertens. Neto e Reina portieri moderni, possono diventare dei simboli”
Francesco Toldo, 6 partite di finale di Coppa Italia, solo Rui Costa ne ha giocate tante nella storia della Fiorentina. E due Coppe vinte, come Albertosi, Hamrin, Merlo, Rui Costa e nessun altro.
«Fra la prima e la seconda vittoria ci sono 5 anni di differenza, per questo le due coppe hanno un significato diverso. La prima, quella del ‘96, era il frutto di un lavoro nuovo, iniziato in Serie B e programmato con Ranieri, era il premio alla continuità di quelle scelte. Era il gruppo dei ragazzi del ‘93, Campolo, Tedesco, Robbiati, qualcuno è rimasto per un po’ di anni. La Coppa Italia era il risultato di quel lavoro. Ma il livello tecnico della squadra del ‘96 era più basso rispetto al 2001».
Come? Nel ‘96 c’era Batistuta, nel 2001 no.
«E’ vero, ma la Fiorentina in quegli anni aveva fatto progressi notevoli, era cresciuta, aveva puntato ai livelli più alti».
Qual è per lei la differenza fra le due Coppe?
«L’entusiasmo e la spavalderia dei giovani della prima Coppa Italia avevano lasciato il posto alla consapevolezza della nostra forza. Le due vittorie con l’Atalanta, nell’edizione del ‘96, furono una sorpresa per tutti i tifosi. Ricordo ancora i 30.000 al Franchi, ci aspettarono sul campo fino alle 3 del mattino. Quella è stata la cartolina più bella di Firenze e l’entusiasmo di allora lo rivedo in questi mesi. Sembrava una storia d’altri tempi, quando parlo con i miei amici fiorentini si torna subito a quella notte. Ricordo bene la finale di ritorno a Bergamo, ricordo soprattutto Piacentini in mezzo al campo, tirava di quelle botte…».
E nel 2001?
«Quella Coppa è stata quasi un atto dovuto. Il livello tecnico si era alzato e la Fiorentina, che ancora non poteva ambire allo scudetto, aveva come obiettivo da raggiungere la finale di Coppa Italia. La storia di Fiorentina e Parma di quegli anni è simile al momento che stanno attraversando oggi Fiorentina e Napoli, due squadre in netta crescita».
E’ più legato alla prima o alla seconda Coppa?
«Di recente ho rivisto le immagini della gara di ritorno a Firenze contro il Parma e ho avuto conferma di quanto ricordavo: ho lottato molto più per vincere la Coppa del 2001 che quella del ‘96. Me ne accorgevo dalla reazione alle parate che facevo. Quasi esultavo. Per me era stata una stagione un po’ difficile: quando a Firenze cominciano a criticare il portiere, perché non esce, perché fa qualche errore, ti viene un senso di colpa enorme e cerchi il riscatto. Ero stanco, provato, ma la motivazione con cui scendemmo in campo era alle stelle. Ho rivisto il gol che mi fece Milosevic, un gol davvero bello. Quell’anno cacciarono Terim e al suo posto venne Mancini: la Coppa Italia rappresentò il gruppo, non l’allenatore».
Sapeva già che entro poche settimane avrebbe lasciato Firenze?
«No. Seppi dalla tv, mentre ero al mare con mia moglie, che dovevo andare al Parma con Rui Costa, ma io dissi subito di no».
Cosa ricorda della finale persa nel ‘99?
«Niente».
Troppo comodo.
«E’ la verità. Forse l’ho rimossa. Come la perdemmo?».
Stiamo al gioco. All’andata a Parma 1-1, gol di Crespo e Batistuta; al ritorno al Franchi 2-2, gol di Crespo e Vanoli per il Parma, Repka e Cois per la Fiorentina. Vuole anche la formazione?
«Se possibile…».
Toldo in porta; Falcone, Repka, Padalino, Heinrich in difesa; Torricelli, Cois, Amoroso a centrocampo; Rui Costa trequartista; Edmundo e Batistuta in attacco.
«Càspita, questa è la formazione più forte di tutt’e tre le Coppe. E infatti l’abbiamo persa con due pareggi in finale, solo per la regola dei gol segnati in trasferta».
Il duello Neto-Reina visto da un ex portiere.
«Sono portieri moderni, con i piedi fanno la differenza. Mi piacerebbe che diventassero dei simboli. Squadre come Napoli, Fiorentina, Milan, Juve e Inter devono avere portieri-simbolo come lo sono Handanovic e Buffon, così un giovane può prenderli come esempio. Adesso invece nelle società c’è la tendenza a cambiare in fretta, ma Neto e Reina hanno i requisiti giusti per restare a lungo».
Le piace il gioco della Fiorentina?
«Sì, Montella è bravissimo. Però mi piacerebbe vedere più peso nella mia ex squadra, mi piacerebbe vedere Batistuta in questa Fiorentina».
Il nuovo Bati potrà essere Gomez?
«Per ora non ha trasformato le aspettative in realtà. Ma nella Fiorentina ci sono idee chiare e la cosa migliore che hanno fatto i Della Valle è stato scegliere Montella. Il suo lavoro è eccezionale».
Se lei fosse portiere del Napoli di chi avrebbe più paura?
«Nella Fiorentina non c’è l’attaccante per il quale dici “questo mi fa gol di sicuro”. E non ha nemmeno uno specialista sulle punizioni».
E se invece fosse il portiere della Fiorentina?
«In questo caso, occhi aperti su Pandev: quando entra, negli ultimi 20′, è sempre il più pericoloso. E poi su Mertens: ha un terra-aria micidiale. Ma io ho molta fiducia in Montella. Il quale, detto per inciso, da giocatore m’ha fatto un sacco di gol. Ne ricordo uno terribile in un’Inter-Roma: passaggio indietro di Morfeo, Montella aggancia la palla con quel sinistro malefico, mi gira intorno e segna».
Come preparatore dei portieri della Under 21 lei ne allena tre chiamati da Prandelli negli ultimi stage: Perin, Bardi e Leali.
«Sono tre ragazzi di sicuro avvenire. In loro rivedo la gioventù dei portieri italiani degli anni ‘90. Devono farsi rispettare, devono sgomitare, tutt’e tre hanno un grande talento. Perin ricorda molto Walter Zenga per il carattere esuberante, ha una forte personalità. Bardi è un ragazzo riflessivo, posato, come era Marchegiani. Leali ha un fisico eccezionale, come Cech. Devono “europeizzarsi”, nel senso che devono perfezionare l’abilità e migliorare con i piedi, come Neuer e Reina».
Scuffet sarà il nuovo Buffon come dicono tutti?
«Lo allena il mio amico Mareggini con la Under 19. Servirà equilibrio a chi ora lo sta elogiando e domani, al primo errore, lo criticherà…».
Secondo lei quando smette Buffon?
«Lo può sapere solo lui. E’ l’esempio del portiere. Io lo porto sempre come esempio ai ragazzi che alleno, soprattutto per l’atteggiamento che ha verso i compagni».
Corriere dello Sport